Accarezzo la robusta corda
che mi fissa con il suo cappio,
pronto e gelido.
Tutt’intorno una massa silente
che altro non attende
se non l’esecuzione.
Il boia non c’è, il boia sono io.
Ed io il condannato...
Giudici e giurie grigie hanno sentenziato
ma poltrone e piazze non si sporcano le mani.
Alla fin fine questo è vivere
nella terra dell’uomo.
Pagare l’inadeguatezza.
Pagare la diversità.
Il prezzo è alto,
alto come il corpo che penzolerà inerte
alto come il brusio della folla cieca.
Incurante di chi si troverà appeso domani.
Incurante di chi ci si trova ora.
Morte è spettacolo
nella terra dell’uomo.
Si scuote il cappio sotto i colpi del vento.
Un ultimo movimento solitario
prima della danza.
Il boia non c’è, il boia sono io.
Ed io il condannato.
Poi saranno fremiti di folla goduriosa
e tra la folla qualcuno sentirà [vicino]
il tormento del prossimo venuto.
Stringe la corda
ed io sollevo gli occhi:
in alto un uccello vola.
Inconsapevole bestiola fortunata,
male che vada vittima d’un fucile
ma mai d’un suo simile.
Tira la corda.
Stringe e non molla.
Io odo solo l’ultimo silenzio,
fetido e falso,
della terra dell’uomo.
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